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Un ragazzo d’oro – Conferenza stampa con Pupi Avati, Cristiana Capotondi e Giovanna Ralli

16/09/2014 | Interviste |
Un ragazzo doro – Conferenza stampa con Pupi Avati, Cristiana Capotondi e Giovanna Ralli

Nella cornice romana della Casa del Cinema di Villa Borghese questa mattina è stata presentata alla stampa l’ultima fatica di Pupi Avati Un ragazzo d’oro (film già premiato al Festival di Montréal per la migliore sceneggiatura).
Il film racconta la storia di Davide Bias (Riccardo Scamarcio), figlio di uno sceneggiatore di film di serie B. Il giovane si guadagna da vivere come creativo pubblicitario ma sogna una carriera da scrittore. Davide convive con ansia e insoddisfazione che tiene a bada con le pillole; neanche la fidanzata Silvia (Cristiana Capotondi) sa come sollevarlo. Alla morte improvvisa del padre, Davide si trasferisce da Milano a Roma dove incontra un’affascinante editrice, Ludovica Stern (Sharon Stone), interessata a pubblicare un libro autobiografico che il padre voleva scrivere. La donna chiede a Davide di rintracciare sul computer del padre le tracce di quel libro che forse stava scrivendo all’insaputa di tutti. Davide finirà per scrivere lui stesso il libro come se a farlo fosse stato suo padre. Ma la scrittura non lo aiuterà a superare le sue inquietudini. 

Alla conferenza stampa seguita alla proiezione, il regista Pupi Avati e il fratello produttore Antonio hanno presentato il loro ultimo lavoro accompagnati alle due presenze femminili del film Cristiana Capotondi e Giovanna Ralli (che interpreta la madre del protagonista). Presenti anche Flavia Parnasi coproduttrice del film con la Combo Produzioni, Paolo Del Brocco amministratore delegato di Rai Cinema che ha coprodotto la pellicola e Raphael Gualazzi autore delle musiche.
Quasi scontata l’assenza della diva hollywoodiana Sharon Stone, giustificata da motivi di lavoro all’estero invece quella di Riccardo Scamarcio.
Il film uscirà nelle sale giovedì 18 settembre in 300 copie distribuite da 01 Distribution.

La prima domanda per il regista è quella che tutti si aspettano. Perché la scelta di una diva come Sharon Stone per il ruolo dell’editrice Ludovica Stern?
Pupi Avati: “L’idea di Sharon Stone mi è venuta in mente quando ho scritto il ruolo della Stern, un’ex attrice americana che si è data una nuova professione quando ha cambiato vita in seguito a un buon matrimonio. E’ una donna che doveva essere carismatica fin dalla sua prima apparizione, il “ragazzo d’oro” doveva rimanerne subito sedotto e attratto. So che ci sono delle attrici più brave di lei negli Stati Uniti ma sono poche le attrici che come lei sono delle icone. L’ho detto a mio fratello e sulle prima lui mi ha detto: “sei pazzo”, poi sono andato da Paolo Del Brocco e lì è iniziato tutto un carteggio tra mio fratello e l’avvocato americano che, se venisse pubblicato, ne verrebbe fuori un romanzo meraviglioso. Chiedere Sharon Stone è chiedere qualcosa che rasenta l’impossibile. Allora con un treno 'Italo' siamo andati a Firenze dove la diva era andata a trovare l’amico Bocelli per prenderla e portarla a Roma. Durante il viaggio abbiamo definito gli aspetti della sceneggiatura, dovete sapere che per gli attori americani la sceneggiatura è come un “rogito”, ti impegni in ogni singola parola. Abbiamo condiviso la sceneggiatura e il giorno dopo eravamo sul set dove lei si è portata dietro 200 fotografi”.

Antonio Avati: “Il rapporto con Sharon è il classico rapporto che si ha con tutte le attrici americane dalla carriera un po’ in declino. A Firenze l’abbiamo trovata che ci aspettava al binario sbagliato, seduta su una valigia, non c’erano fotografi intorno a lei. Sul treno invece è stata riverita e omaggiata dal personale e mano a mano ha cominciato a sentirsi davvero Sharon Stone. Arrivati alla stazione Tiburtina di Roma c’erano diversi fotografi, di quelli “spericolati”, che la inseguivano. Poi siamo andati all’Hotel Hassler dove per lei c’era una lussuosa suite. Il giorno dopo a Piazza del Popolo , dove lei ha girato la sua prima scena, abbiamo trovato 220 fotografi. Da quel momento ‘l’ego’ ha cominciato a crescere e cominciavano anche piccoli capricci che però devo dire siamo riusciti a gestire bene. L’ultimo giorno dovevamo girare una scena su una panchina in cui lei dava un bacio a Scamarcio e lei è improvvisamente sparita, scomparsa nel nulla, mancava solo un’inquadratura per finire la parte di Sharon (erano solo sette giorni consecutivi di contratto). L’abbiamo cercata parecchio, poi ho ricevuto una telefonata dal suo manager da Los Angeles che ci minacciava se non avessimo fatto allontanare un operatore che le stava troppo vicino mentre giravamo la scena, a quel punto abbiamo allontanato l’operatore e lei, che era lì vicino, in una macchia a dieci metri dal set e ci aveva fatto chiamare dall’altro capo dell’Oceano, ha ricominciato ad essere carina. Devo dire che l’atteggiamento della Stone è stato un po’ doppio, bipolare”.

Avete poi fatto una citazione celebre in una scena, facendo accavallare le gambe alla Stone…
Pupi Avati: “Io le ho detto: ‘ma ti rendi conto, tu sei Sharon Stone perché hai accavallato le gambe in un film?’. Ma devo dire che lei è molto autoironica e spiritosa riguardo a questo”.

Per il regista. Come mai approfondisce sempre il tema del rapporto padre-figlio nei suoi film?
Pupi Avati: “Questa ostinazione per la figura paterna la vivo per il fatto che io e mio fratello non abbiamo avuto un padre. Mio padre è morto quando io avevo 12 anni. Da ragazzo la mancanza di un padre è stato quasi un vantaggio, perché credo che le madri sappiano supplire benissimo perché ti accompagnano nella fase in cui sei dominato dalla tua immaginazione e dai tuoi sogni. Se ho coltivato i sogni della musica jazz e del cinema è dovuto al fatto che non ho avuto un padre. Diventando adulti invece la figura paterna è diventata sempre più necessaria. Mio padre aveva anche pensato di produrre un film. Era andato anche da Bologna a Roma a vedere come si girava un film. E il fatto che io poi sia riuscito a fare cinema e di essere stato anche il direttore di Cinecittà, mi sarebbe piaciuto dirlo a mio padre. Questa è una delle storie più belle che uno possa immaginare, questo figlio, questo ‘ragazzo d’oro’ che dona la sua salute mentale al risarcimento di un padre che non ce l’ha fatta. Sono due maschi che hanno pudori e difficoltà a comunicare”.

Lavorerebbe ancora con Sharon Stone?
Pupi Avati: “Ci lavorerei meglio, conoscendola ora meglio. Se prevedi il rischio sparizione per esempio, a causa di un operatore troppo vicino alla macchina da presa… anzi, sto pensando di richiamarla … (ride)”.

A proposito della diva Stone, Del Brocco chiama in causa Cristiana Capotondi dicendole che è meglio della Stone. La replica dell’attrice è immediata.

Cristiana Capotondi: “Ringrazio Del Brocco che ha una particolare simpatia per me in quanto tifosa romanista… (ride) . Effettivamente ti rendi conto come questo tipo di divismo sia anacronistico da noi. Mi sono molto divertita molto a vedersi scontrare il divismo della Stone con il cinema artigianale degli Avati. Ho riso parecchio quando è stata fatta la richiesta di utilizzare la carta di credito del produttore. Antonio Avati aveva messo al seguito della Stone un ragazzo giovane che lavorava per la produzione con l’intento di seguire le sue mosse quando andava a fare shopping. Nel momento in cui il ragazzo ha telefonato comunicando che la diva era entrata da Bulgari, Antonio è sbancato!”.

La “diva” nostrana Giovanna Ralli a questo punto ha preso la parola:
“A 80 anni finalmente faccio  un film con Pupi Avati. Li devo compiere a gennaio, sono comunque più giovane di Sophia Loren! Per me è stata un’esperienza nuova, un cinema nuovo che mi ha fatto conoscere emozioni nuove. Il mio è un ruolo di madre tradizionale che ama la sua famiglia e il marito e diventa anche complice del suo tradimento. E’ una donna che ama talmente tanto il suo uomo da diventarne sua complice. Questa è una cosa nuova”.

Un’altra domanda per il regista. Secondo lei la creatività ha rapporti con la follia?
Pupi Avati: “Assolutamente si, io ho frequentato assiduamente e con riconoscenza persone che hanno problemi di quel genere, sono le persone più fantasiose che riescono a vivere una vita che non è solo quella  delle somme e delle sottrazioni di tutti i giorni”.

Per Cristiana Capotondi. In questo film lavori con tre icone del cinema, cosa hai appreso maggiormente da un’icona del cinema americano, da un’icona del cinema italiano e da un autore come Avati?
Cristiana Capotondi: “Inizierei dalla Stone. Da lei ho imparato l’intelligenza nel gestire la propria bellezza, è un elemento di interesse, se la natura ci ha fatto un dono, il fatto di riuscire a sfruttarlo è un talento, credo sia una donna intelligente. Quanto a Giovanna la trovo da sempre, avendo studiato e visto i suoi film, una donna con una grazia particolare unita a una grande bellezza, una donna non aggressiva e un grande talento e ha dimostrato alla sua “giovane età” di avere un’umiltà che molti giovani non hanno. Per quello che riguarda Pupi Avati era tanto tempo che volevo lavorare con lui, è un uomo di grande intelligenza e sensibilità, un uomo con un metodo particolare di metterti a tuo agio e una dote di vicinanza emotiva con i suoi personaggi. Sono cose che ti lasciano il segno e ti danno modo di relazionarti con il suo mondo”.

Per Pupi Avati. Come ha scelto il cast tecnico e in particolare Raphael Gualazzi per le musiche? 

Pupi Avati; “Noi abbiamo costituito una specie di famiglia per trent’anni, a quel punto non c’è più la sorpresa di un incontro, abbiamo esaurito tutto. Allora un giorno ho cercato di trovare stimoli nuovi, anche rischiosi, e abbiamo cambiato operatore, scenografi, costumisti, montatori e, anche per ragioni dolorose (la morte di Riz Ortolani), musicisti. Ero rimasto sedotto da Gualazzi e lo dissi a Cesare Cremonini, vorrei averlo come protagonista di un mio film. Lo abbiamo cercato e ora lui dirà com’è andata”.

Raphael Gualazzi: “Innanzitutto ringrazio il regista e la produzione per l’esperienza meravigliosa, quando ho letto la sceneggiatura mi son commosso. Il nostro incontro è avvenuto negli uffici della Duea Film. E’ stato molto bello perché abbiamo subito condiviso i nostri gusti musicali, avevo a che fare con persone dai grandi gusti musicali. Nella composizione della colonna sonora niente è stato lasciato al caso, c’erano dei riferimenti ben precisi e ci tenevamo in stretto contatto anche se io ero in giro per il mondo”.

Una domanda ancora per Pupi Avati. Il rapporto padre-figlio nel film è anche catartico. Ma, nella rassegna di padri molto diversi che ci sono nei suoi film, qual è quello in cui lei si identifica di più?
Pupi Avati: “In questo senso io vivo perennemente 'l’ebbrezza del fallito' e siccome gli anni aumentano, il fatto di non poter risolvere tutto in una sintesi cinematografica che rappresenti tutta una vita, è una cosa che mi fa somigliare a Bias che scrive sul computer: “E’ finita, è finita...”. Ho pensato a cosa accadrebbe se, con me assente in via definitiva, i miei figli accendessero il mio computer. Mi sembra che questa sia una storia d’amore bellissima tra generazioni, è una storia che premia l’affettività. Siccome in questa società si premia spesso l’aggressività, la supponenza o la baldanza, è bello vedere una cosa del genere.
E’ una bella cosa quella che dice il personaggio di Davide Bias alla sua analista: ‘Forse due falliti in una stessa famiglia non ce li potevamo permettere’. E’ vero, ma ci possono essere benissimo due falliti ma non solo, anche tre, quattro falliti, perché i sogni sono difficili da realizzare”.

In coda alla conferenza stampa, una sorpresa ha colto il regista Pupi Avati con la consegna del premio Nastro D’Argento per il film Una sconfinata giovinezza che non era ancora arrivato nelle mani del regista.

Elena Bartoni

 


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